Grandi maestri di scacchi hanno spesso affiancato il ping pong ai tornei del gioco delle 64 caselle, dove le lunghe partite seduti davanti alla scacchiera anche per 5 o 6 ore di seguito richiedevano dei momenti di attività motoria che consentissero uno svago sia fisico che psicologico. Appassionati di tennistavolo furono i campioni del mondo Michail Tal’, Bobby Fisher, Josè Raul Capablanca, Boris Spassky, Emanuel Lasker, per citare solo alcuni dei grandi scacchisti del passato.

A differenza di altri, questi due sport hanno vari aspetti in comune. In entrambi, a differenza delle competizioni di squadra, la componente individuale è molto forte. Come evidenziava Primo Levi nel suo racconto “Gli scacchisti irritabili” contenuto nella raccolta “L’altrui mestiere”, gli scacchisti hanno la responsabilità totale dei loro atti e questo avviene di rado in altre attività umane, sia serie che giocose. E come gli scacchisti, anche i tennisti sono responsabili, in campo o davanti ad un tavolo, delle loro azioni. Inoltre sia gli scacchi che il ping pong vengono giocati entro i confini di uno spazio fisico che si può percepire completamente all’interno del proprio campo visivo. Eppure, paradossalmente, per giocare entrambi con successo, è necessario avere anche nella propria mente l’immagine della scacchiera o del tavolo in modo da avere effettivamente l’idea di dove si trovano le caselle o gli angoli. In entrambi i giochi bisogna avere quella che viene definita una “table vision”.

Va ricordato anche il legame storico tra il ruolo degli scacchi e quello del tennistavolo durante la Guerra Fredda degli anni ’70 e il significato politico attribuito a entrambi gli sport giocati da campioni del blocco occidentale contro quello sovietico, come il match Fisher-Spassky del 1972 o la “Ping pong diplomacy” del 1971, cioè lo scambio di visite tra giocatori di Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese che costituì un momento di distensione nelle relazioni tra i due Paesi e spianò la strada alla visita in Cina del presidente Richard Nixon.

In analogia alla disciplina del “Chess boxing”, sport ibrido nato a Londra negli anni ’70 e riconosciuto a livello internazionale, dove i due sfidanti giocano alternativamente partite di scacchi blitz e boxe finché uno dei due non vince per scacco matto o knockout, magari possiamo chiamare il nuovo sport “Chess pong”.